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di Mariangela Bruno
28 giugno 2020… sono passati dei giorni da questa data… una di quelle da segnare sul calendario, quelle che fanno parte dei ricordi che danno un senso, un colore, una emozione spartiacque ad una vita intera…
Il mio debutto a teatro…
Una frase con due parole altisonanti ed impegnative. Il teatro: luogo di indicibili opposti condensati, rispetto ed emozione, paura e gioia, fiducia in me e per gli altri e paura di non riuscire a stringere quelle mani, presenza e assenza… compenetrazione e scissione di persona e personaggio…imparare e poi riuscire a dimenticare e dimenticarsi…
Me le ricordo ancora, anzi le sento ancora le emozioni di quella mattina all’alba:
“Sono sveglia già da un po’… lo immaginavo…
L’ adrenalina, la tensione, l’emozione sono qui a farmi compagnia mentre vorrei dormire ancora…
è arrivato il giorno…
Il giorno in cui il progetto di questa esperienza teatrale prende corpo e diventa carne, sudore pianti e sorrisi…
In cui resti sempre affascinata dalla potenza creativa e talentuosa del regista di immaginare movimenti, parole che danno vita a vite sul palco. In cui colleghi di corso, diventati nel tempo amici, si cambiano concitatamrnte, si confortano, si rafforzano ti abbottonano il vestito, ti offrono un cioccolatino ed un consiglio con un sorriso. Persone che come te stanno con te nelle quinte e respirano emozione paura e gioia. Il momento in cui lo scricchiolio del legno del palco è armonia e melodia… suono che ti risuona dentro, ti rimbomba e ti fa paura, come un canto di sirene… semplicemente potenza ammaliatrice. È il giorno in cui con gioia, impegno, responsabilità, passione e ardore, diventa vero per me essere altre vite… personaggi che diventano persone attraverso me… sono loro che attraversano il mio corpo diventano carne, calze rotte, balletti, storie, vite vere…la magia del teatro. Le sedie rosse che stasera saranno piene di sguardi curiosi che spero di rendere vivi…
Ecco è arrivato questo giorno….ed è già indimenticabile”
Si è indimenticabile, perchè ha attraversato tutti i colori della tavolozza con cui sento la realtà.
Un’esperienza corale: l’incontro (e certe volte il contro) con un gruppo umano complesso, variegato, strabordante di sè, in costante tensione emotiva, ma sempre proteso a collaborare. Persone con cui nel tempo i rapporti si sono sviluppati, cresciuti, fioriti, evoluti ed involuti, compagni di avventura teatrale, che potranno essere amici per un pezzo non si sa quanto lungo di vita. Compagni che hanno saputo tenermi quando è stato necessario e aprirmi il cuore lasciando che io penetrassi senza risparmiarmi nell’entrare nei loro spazi interiori, persone che hanno saputo vedere cosa c’è dietro il mio colore, l’esuberanza, le parole ed i pensieri, e persone che semplicemente non possono farlo, fascinazione e spavento, amicizia e serena distanza… un gruppo di individualità che è stato un compagno agrodolce di questa esperienza, ma che al momento del sipario, dietro quelle tende rosse, mentre il nostro regista parlava, era un unico cuore, un’unica testa, un’unica mano che toccava quelle tende per sentire l’afflato di energia… un unico battito ed un solo sussurro, un solo sguardo… un’unica bellissima assenza di sospiro.
Ricorderò con sincera empatia gli inzi non facili con il regista… una reazione dura, inaspettata e ferente per un mio primo tentativo di provare su quel palco… il mio non sentirmi capita, aggredita, mortificata, l’uso su di me della parola “scorciatoia”, che è quanto di più lontano dalla mia natura… la voglia di mollare, di dire quello che pensavo… e poi il decidere di non andare via, di lasciare che il tempo, la conoscenza, l’impegno, la responsabilità, la passione, il mio emergere con il mio pensiero critico, con un occhio che osserva e se serve smaschera, con il mio voler e saper essere più forte del mio apparire…
Ho continuato sapendo che con Luca sarebbe stato l’incontro di due personalità forti, ma con l’assoluto rispetto dei ruoli… un annusarci a distanza… e poi il teatro e il voler far vivere i personaggi attraverso me hanno fatto il resto… ho imparato ad ammirare e conoscere la sua disciplina e la sua passione, la sua potenza creativa, il talento straordinario di creare dal nulla su quel palcoscenico, vite e vita, parole e gesti che sanno essere verità non rappresentata ma verità vitale… Ho intravisto attraverso le Parole, la fragilità bella di un uomo che ama quello che fa, che è vita, in uno dei momenti più delicati della sua esperienza umana… Ho tradotto tutto questo mio percorso umano con un uomo e regista complesso in un’unica semplice equazione e speranza, per me mai scontata, donata o gratuita: Voglio che il regista sia fiero di me! E lo so che ci sono riuscita….
E poi ci sono loro i personaggi, ormai mie compagne, Beth, Caterina e Penelope.
Aver dato vita nello spazio di uno spettacolo a tre personaggi molto diversi, essere stata loro, è stata una esperienza umana e vitale straordinaria…la dolce Beth, che inaspettatamente con la sua potenza emotiva di trasferire Verità alle Parole, affascina Skaspeare e gli fa capire il valore delle parole piene di sentimento per un teatro che trasudi Verità… la fiera e nervosa Caterina, in un balletto da bisbetica domanta con Petruccio in un botta e risposta pieno di energia, humor e ironia incalzante.
E poi lei…Penelope, il mio personaggio del cuore…
Una donna in piena crisi di astinenza da eroina, che in un bagno si fa violentare in tutti in modi per il miraggio di una dose che non arriva… un residuo di donna che è madre di una bimba, che in quelle calze rotte, primo regalo della sua bambina, si aggrappa disperatamente all’ultimo barlume di umanità che le è rimasto. Io ero lei, solo unicamente lei, incurante delle luci, del pubblico, della paura, del pudore, delle gambe aperte, della violenza, della memoria… io ero lei con il suo tormento in quel bagno… sono stata semplicemente Penelope, una donna persa ma non perduta, che sono stata felice di far vivere attraverso il mio corpo, il suo dolore, la sua vita…portare gli altri in quel bagno con me e lei, sentire il fiato sospeso degli spettatori e non vederli, perchè c’era Penelope e basta…
Ecco è proprio in questo che si riassume per me il teatro.
La potenza del teatro. La magia, il sogno e l’incanto demoniaco, il richiamo dal profondo, il mio abgrund, l’abisso ammaliante come un canto di sirene.
Troppo semplice pensare che quello che mi manca ora sia l’aver calcato quelle tavole scure, sentirne lo scricciolio, luci sul viso e pubblico che applaude. A me mancano i personaggi, tutti i personaggi, la possibilità di essere loro… Cala il sipario su Mariangela e si apre su Beth, Caterina, le sirene, o Penelope… o chiunque sarà…
Come quando sono nate le mie figlie, la profonda gioia della nascita, aveva in sè il presagio di morte, il senso di privazione, l’essenza stessa della mancanza… oggi io che ho dato vita attraverso il mio sentire, la mia carne, la mia voce a questi personaggi… ora che su di loro è calata la tenda rossa… ora mi mancano…
Questo volevo dal teatro… questo quello che non immaginavo di trovare con questa potenza catartica e meravigliosa.
Voglio essere personaggi… voglio essere nuove vite… voglio che io scompaia per illuminare con la mia goccia di vita, con la mia essenza non voluta ma inevitabile, tutto il possibile della vita che può essere.
Il teatro per me è questo… Persone che diventano personaggi… personaggi che vivono come persone… vita che è sogno.. vita che è Vita.