di Mariangela Bruno
Abbiamo vissuto con l’urgenza drammatica del Coronavirus con i suoi numeri impietosi, con i bollettini quotidiani dei tanti morti, con la paura dei contagiati e la speranza giornaliera che il numero dei guariti aumentasse. Il vuoto ed il silenzio delle strade, le saracinesche abbassate, un modo nuovo ed inaspettato di vivere il tempo e lo spazio, la scuola che sta provando a reinventarsi a distanza, il lavoro che deve indossare nuovi vestiti e imparare nuove forme.
E mentre ancora temiamo le propaggini della fase 1, è proprio dalla forza del lavoro che deve ripartire rinnovata la fase 2 del post pandemia, o meglio la fase che ci porterà a convivere con il virus nelle nostre vite, latente ma presente che imporrà una nuova normalità, un punto di non ritorno che investirà qualunque ambito sociale, umano, relazionale, produttivo.
E’ necessario avere la prospettiva che si possa ripartire. Un prospettiva che parte dal bisogno umano della speranza ma che non è ancora granitica certezza. Come farlo è la domanda ricorrente in questo periodo sulla quale si interrogano voci in ogni ambito per dare una vista, una strada uno scenario da percorrere.
Riccardo Illy, presidente del Polo del Gusto, una sub holding del gruppo triestino ha le idee chiare. “Per rialzare la testa servirà un nuovo miracolo italiano come nel dopoguerra”. Il noto industriale, pur non essendo un politico di mestiere, prospetta uno scenario che impone un nuovo modo drastico e radicale di pensare alla politica a servizio di un nuovo sviluppo economico di (necessaria) ripresa. In periodi di crisi, come vuole l’etimologia greca della parola Krisis -scelta decisione e cambiamento-, per trasformare i problemi in opportunità bisogna ripensare ad una semplificazione della macchina dello Stato. In un paese con un debito insostenibile, già ante Coronavirus, l’unica via praticabile è l’adozione della condizionalità del Mes, il fondo salva Stati, per promuovere riforme concrete: a dispetto di qualunque incapacità di comunicazione della politica che sopperisca a carenze tecniche finanziarie della popolazione per evitare la retorica demagogica contraria a questa soluzione. Ma non solo, Illy si spinge oltre: va caldeggiata in questa fase la proposta del Sindaco di Milano Sala di una Assemblea Costituente capace di riequilibrare i rapporti tra i poteri dello Stato. La crisi economica disvelata imprerogabilmente dalla crisi sanitaria va combattuta con sviluppo e promozione di competenze tecniche, evitare la fuga di talenti all’estero che pruomuovano in Italia le loro capacità in innovazione, meccanica, estetica. E ripensare una nuova globalizzazione che non va negata. Una risposta limpida alla crisi, esposta con una metafora chiara “Non è fare un passo indietro per non cadere nel vuoto, ma mettersi in sicurezza per non avvicinarsi più al ciglio del burrone”.
Rincara la dose sul valore produttivo della globalizzazione Patrizio Bianchi a patto che si investa in dati. “Le politiche espansive sono necessarie ma devono aiutare le aziende a riorganizzarsi per essere più competitive”. Le sue parole traggono sostanza direttamente dalla sua esperienza sul campo: da Rettore dell’Università di Ferrara ad Assessore in Emilia Romagna. Attualmente titolare della cattedra Unesco in Educazione, crescita ed eguaglianza, Bianchi sottolinea come la crisi che ha investito il nostro mondo abbia fornito una spinta incredibile alla digitalizzazione di massa che normalmente avrebbe richiesto periodi ben più lunghi. Anche lo smart working così rapidamente diffuso persino nella pubblica amministrazione cambierà profondamente l’organizzazione delle imprese. Uno scenario di rinascita per il professore è investire in due beni comuni necessari e imprescindibili per la salvezza globale: la sanità e il bio medicale (i cui sviluppi necessari e urgenti si sono resi immediatamente evidente a livello mondiale) e l’ambiente con la rivoluzione verde nei trasporti appena iniziata. E a proposito di formazione è necessario cambiare mentalità ed investire nelle competenze tecniche: in Italia gli ITS, le scuole di tecnologia post diploma hanno 15 mila iscritti. In Germania quasi 800 mila.
Una ventata di positivo realismo nelle riflessioni di Marco Bentivogli, numero uno della FIM, la Federazione dei metalmeccanici della CISL: “l’effetto disruptive” del Covid 19 porterà a ripensare radicalmente il mondo del lavoro, dei suoi spazi fisici e delle sue relazioni umane ed organizzative. Il virus dovrà essere un acceleratore di cambiamento perché “sarà uno tsunami per il nostro tessuto produttivo, con una perdita pari almeno a quello del 2008 (…) dal meno 18 % che sale al 34 % nello scenario peggiore”. Il lavoro andrà ripensato in modo innovativo e dinamico: vita a distanza significa lavoro a distanza con forme agili di rivisitazione degli spazi fisici che saranno più liberi. Ma non solo. Dovrà cambiare tutto il sistema delle valutazioni delle prestazioni di chi non è direttamente coinvolto nella produzione. La parola cardine su cui si svilupperà la nuova vision del lavoro sarà “progetto” i cui pilastri esplicativi si declinano in: libertà, autonomia, responsabilità e fiducia. Non più la logica della comanda e del controllo visivo, ma confronto per momenti di verifica responsabile. Un cambiamento dell’approccio lavorativo che si nutre di valorizzazione del benessere della persona e della sua crescita responsabile e formativa. Per questo per Bentivogli, le tute blu non saranno penalizzate rispetto ai colletti bianchi: il volano delle piccole medie imprese, in mano loro, sarà incentivato dalla formazione, diritto umano prima ancora che diritto del lavoratore. Si continueranno a sviluppare competenze manuali e tecniche non più sostituibili. Nella smart factory il robot è cooperativo mai sostitutivo e sarà guidato dall’intelligenza umana.
Il futuro del lavoro può essere l’intelaiatura di una nuova umanità? Sarà questa la sfida che si deve vincere. Solo allora non saremo “scarti del progresso” e del Coronavirus. Come direbbe Papa Bergoglio.
Fonte: “La repubblica, 6 aprile”
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